07-10/08/2018 Marmarole
07/08/2018 G1 : Praciadelan – Rifugio Chiggiato
Distanza totale: 3.9 Km (3,2↑ 0.2↓ 0.5↔)
Altitudine massima: 1918 m
Altitudine minima: 1050 m
Dislivello assoluto: 863 m
Dislivello totale: 892 m
Totale discesa: -23 m
Tempo totale: 2h 51′ (soste comprese)
Presenti: Antonio, Cippe.
Eccolo finalmente dopo due anni di attesa il giro delle selvagge Marmarole, nato da un idea di Cippols lanciata anni fa durante una serata goliardica alla quale seguirono ambiziosi progetti poi naufragati. Fallito il tentativo nel 2016, ci riprovo con Antonio che coraggiosamente si offre ad accompagnarmi affascinato anche lui dal contesto. Partiamo il pomeriggio di martedì 07 verso le 13 e 15 subito dopo pranzo e andiamo diretti fino a Calalzo e quindi su fino al Bar alla Pineta in località Praciadelan dove lasciamo l’auto, quota 1040 metri circa. Volendo si può proseguire più su sulla strada sterrata proprio fino all’attacco del sentiero 260 dove sono state ricavate delle aree per il parcheggio, ma preferiamo lasciare l’auto in questo luogo più protetto e proseguire a piedi.
La vestizione è rapida, mettiamo gli scarponi e via con il nostro zaino da oltre 15 kg. Saliamo per la strada sterrata che prosegue a sinistra del bar in leggera salita, alle nostre spalle si mettono in mostra gli Spalti di Toro, poco più avanti siamo all’attacco del sentiero 260 (0.9 km, 1143 mt, 15′). Diversi cartelli indicano le varie direzioni tra cui quella verso il Chiggiato. Scende qualche goccia, ci ripariamo sotto un albero per capire il da farsi e mentre aspettiamo noto le aree di sosta ricavate intorno a noi di cui ho scritto più sopra, intanto decidiamo di partire, ancora un pezzo di sentiero all’aperto che scorre parallelo al torrente poi si entra nel bosco che eventualmente ci riparerà dalla pioggerellina, proprio in corrispondenza all’entrata nel bosco sulla mia mappa è segnalata una sorgente d’acqua che però non vedo (1.2 km, 1216 mt, 25′). La salita del 260 è piuttosto ripida, non da tregua se non per brevi tratti, ma si svolge sotto un bel bosco a tratti di faggio, a tratti misto ad abeti e qualche larice. Dopo un po’ che camminiamo un simpatico cartello ci indica che manca un’ora al rifugio, poco più avanti un altro cartello indica la possibilità di una sosta “del nonno“, si tratta praticamente di una panca in legno che non ho immortalato, ma che è posizionata in modo tale da poter ammirare il panorama in un tratto libero da alberi dal quale si scorge la val d’Oten e forcella Piccola e ovviamente l’Antelao sulla sinistra (2.5 km, 1590 mt, 1h 30′). Dopo una breve pausa riprendiamo il cammino, altro cartello con un ambiguo tempo di percorrenza, 35 minuti al Chiggiato, interessante, mentre qualcuno ci aiuti sulla traduzione di “ogni an pedo”, grazie. Dopo un breve tratto scoperto rientriamo nel bosco fitto, un piccolo cartello attaccato ad un abete indica la presenza di una sorgente d’acqua a 100 mt dal sentiero (3 km, 1670 mt, 2h 5′), le sorgenti d’acqua nelle Marmarole sono rare e quindi ancora più preziose, poco più avanti ecco il filo d’acqua convogliato su una piccola grondaia che ne agevola il prelievo. Ormai ci siamo, pochi passi ed il bosco finisce, proprio in prossimità della radura dove sorge il rifugio Chiggiato dietro al quale sono presenti i cartelli con le indicazioni dei sentieri.
Rifugio Chiggiato (3.9 km, 1911 mt, 2h 51′)
C’è un po’ di movimento dovuto alla presenza di un gruppo scout, per il resto è deserto. In rifugio a parte i gestori ci siano solo io e Antonio. Ci accomodiamo sulla stanza numero quattro, carina, ci sistemiamo e scendiamo per la cena, intima, manca solo la candela. Mentre aspettiamo le pietanze arrivano un paio di escursionisti, ma sono di passaggio nel senso che sono venuti su da sotto per cenare, in un’ora e dieci minuti. Scenderanno dopo cena quando ormai è buio con la luce delle torce.
08/08/2018 G2 : Rifugio Chiggiato – Bivacco Musatti
Distanza totale: 9.95 km (4.45↑, 4.7↓, 0.8↔)
Altitudine massima: 2614 m
Altitudine minima: 1911 m
Dislivello assoluto: 703 m
Dislivello totale: 1197 m
Totale discesa: -1012 m
Tempo totale: 10h (soste comprese)
Rifugio Chiggiato. Quota 1911 mt.
Notte discreta, riesco a dormire abbastanza, cosa rara per me in rifugio, mi alzo presto ed esco subito a fare qualche foto alle prime luci del giorno, una all‘Antelao ed una più panoramica con Antelao a sinistra, la val d’Oten e forcella Piccola in mezzo e cima Bastioni a destra. Al Chiggiato non c’è acqua e quindi al tavolo si utilizzano bottiglie di plastica, ne acquistiamo una per rinpinguare le scorte, circa tre litri a testa, ed affrontare la lunga traversata. Colazione ore 7, partenza 7 e 50 con 20 minuti di ritardo sulla tabella di marcia. Da segnalare che il gestore applica ad entrambi lo sconto CAI, anche se la tessera ce l’ho solo io, grazie, soprattutto da parte di Antonio (scontrino). Il sentiero parte dietro al rifugio da dove siamo arrivati ieri, in corrispondenza delle tabelle di indicazione per intenderci, si tratta sempre del 260 ed inizialmente si sviluppa pressochè in piano, su prati, in pochi minuti si arriva senza sforzi alla forcella Sacù situata a 1936 metri (0.76 km, 1936 mt, 17′). Qui si devia a sinistra sempre sul 260 verso forcella Jau de la Tana, mentre proseguendo dritti (262) si va verso il rifugio Baion. Il percorso procede intorno a quota 1900 sotto la cresta d’Ajeron tra qualche larice ed i mughi, la traccia è sempre ben visibile oltretutto per un lungo tratto accompagnata dal tubo di approvvigionamento d’acqua del Chiggiato, prima azzurro, poi nero. Si affrontano i versanti sud e ovest di cima Salina più aspri rispetto al precedente e con la presenza di diversi attraversamenti di canaloni ghiaiosi. Il panorama si apre ormai libero dalla vegetazione, Antelao, cima Bastioni e forcella Piccola sono ben illuminati dal sole, noi invece siamo ancora all’ombra, alle nostre spalle in lontananza il Chiggiato (2.55 km, 2050 mt,1h 55′). Aggirata cima Salina il sentiero si fa ancora più aspro, con alcuni tratti molto ripidi dove ci si può aiutare con le mani, le racchette possono essere ingombranti. Si attraversano in tutto cinque canali ghiaiosi più o meno grandi, poi in vista del canalone della forcella incastrato tra le cime di Valtana a sinistra e punta Anita a destra ecco il le prime ferraglie (3.1 km, 2115 mt, 2h 25′) che aiutano a superare un tratto un po’ esposto, si sale ancora tra le roccie, l’erba e le stelle alpine fino a raggiungere un secondo tratto ferrato dove la corda serve pià che altro a superare la notevole pendenza. E’ esattamente in questo punto dove si infortunò Paolo due anni fa, quindi chiedo ad Antonio di fare particolare attenzione. Si prosegue agevolmente fino a raggiungere un terzo tratto attrezzato, che aiuta a superare il sentiero esposto. Raggiungiamo quindi una roccia che sembra Jeeg Robot proteso in volo, ma la cosa incredibile sono i bellissimi fiorellini viola che crescono tra le sue fessure. Superato questo sperone roccioso si accede visivamente all’ultimo tratto prima della gola di salita verso la forcella, siamo a circa 2150 metri. Il sentiero procede ancora un po’ sull’erba poi sarà soltanto roccia. Sfioriamo un paio di nevaietti e raggiungiamo delle scalette che permettono di superare agevolmente un salto roccioso, sono divise in due gruppi il primo verso sud il secondo verso nord. Prima di inoltrarci tra le roccie un paio di foto, foto1 e foto2, a quanto percorso nell’ultimo tratto. Superate le scalette la traccia sale vertiginosamente procedendo con il classico zig-zag necessario a vincere la forte pendenza. Davanti a noi la meta ancora lontana. I segni rossi sono presenti a sufficienza e nei punti giusti. Raggiungiamo altre scalette ed un breve tratto attrezzato necessari a superare un altro salto roccioso, poi ancora scalette, e ancora cavo, e cavo, e … finalmente si intravede il grosso ometto posto sulla forcella. Un ultimo tratto ferrato accompagna fino alla forcella Jau de la Tana.
Forcella Jau de la Tana (4 km, 2650 mt, 3h 50′)
Abbiamo la nostra oretta di ritardo sulla tabella di marcia, ma ci godiamo il primo traguardo di giornata. Panorama verso nord dalla forcella, le nuvole non riescono a celare le meraviglie da qui visibili, Cristallo a sinistra, Tre Cime a destra, Cadini al centro. Pausa ristoratrice più che guadagnata. Riprendiamo a camminare scendendo il ghiaione racchiuso tra le cime di Valtana alla nostra sinistra e cima Arduini a destra e che scende fino ai lastoni delle Marmarole. Alle nostre spalle il Froppa. La discesa sul canalone detritico non presenta alcuna difficoltà, tra segni ed ometti si può procedere velocemente se le gambe sono in forma. Raggiunti i lastoni delle Marmarole (5.45 km, 2250 mt, 4h 50′) occorre fare attenzione a non perdere la traccia che diventa esile ed i segni scarsi, il panorama verso le dolomiti di Sesto, Cristallo, Cadini, Tre Cime e dietro di noi verso la forcella da cui siamo scesi con il Froppa al centro e punta Anita alla sua destra. In lontananza davanti a noi il bivacco Tiziano. Si percorre questo canaletto, si aggira questo pendio di rocce ed erba e finalmente si arriva al bivacco.
Bivacco Tiziano (6.2km, 2246 mt, 5h 25′)
Sono le 13 e 15, contavo di arrivare per le 12, siamo un po’ in ritardo, ma come sempre meritata pausa e foto, panorama dal Tiziano, e due chiacchiere con i due tedeschi che pernotteranno al bivacco e che incontreremo poi al rifugio San Marco, stanno facendo il nostro giro al contrario, arrivano dal Musatti. Attendiamo lo sfogo di uno scroscio di pioggia prima di riprendere il cammino sul sentiero 280, la strada Sanmarchi, chissà perché strada, che parte proprio dietro al bivacco e si incunea nella val Longa controllata dalle cime di Vallonga e cima Tiziano, dapprima in piano poi in leggera salita fino a raggiungere un impegnativo pendio erboso, molto ripido, ma senza passaggi ostici, il quale permette di raggiungere la cresta che porta a forcella Schiavinia. L’inizio della cresta è segnalato da un ometto gigante, in primo piano nella foto, dal quale è visibile il bivacco Tiziano. Camminando lungo la cresta è necessario superare un paio di punti un po’ esposti che richiedono passo fermo e sicuro, ma nulla di insuperabile, si sale quindi agevolmente fino alla forcella.
Forcella Schiavina (8 km, 2614 mt, 7h 30′)
Alla forcella ci fermiamo giusto per scattare qualche foto, cosa ci lasciamo alle spalle e cosa c’è oltre la forcella. il tempo non è granché, ma soprattutto con il binocolo vedo parecchia gente al bivacco, cosa inaspettata, e dietro di noi arrivano altre due persone. Iniziamo a scendere su terreno friabile, davanti a noi la macchia verde dove è posizionato il bivacco, aggiriamo questo sperone roccioso, attraversiamo un prato fino a raggiungere un canalone detritico che si dovrà percorrere tutto prima di raggiungere i prati del Musatti. Aspetto Antonio fino all’inizio del ghiaione poi inizio a scendere galleggiando sulle pietre ed in pochi minuti sono di sotto. Nel frattempo i due individui hanno raggiunto Antonio. Sceso il ghiaione si supera una pietraia e quindi si raggiungono i prati che portano al Musatti. Posso affermare con certezza che la traccia percorsa è alquanto diversa da quella segnata sulla carta in mio possesso che non passa neppure per forcella Schiavina, probabilmente una carta datata.
Bivacco Musatti (10 km, 2111 mt, 10h 35′)
Appena arrivo al bivacco chiedo in quanti sono, sei mi dicono, noi in due rispondo, più altri due in arrivo, totale dieci, il bivacco è per nove persone massimo. E adesso? Una coppia, marito e moglie, si offre subito per dormire in tenda e partono immediatamente. Intanto arrivano le due persone che erano dietro di noi, dovevano dormire al Tiziano, ma hanno bisogno di acqua e quindi sono giunti fino a qua. Sistemo le mie cose e vado incontro ad Antonio, lo incrocio all’inizio dei prati lo aiuto con lo zaino e torniamo al bivacco.
Sorgente sotto al Musatti (1.2 km, 1880 mt, 1h a/r).
Anche noi abbiamo bisogno di acqua quindi decido di scendere insieme ai due ragazzi, si chiamano Stefano entrambi, quindi in tutto facciamo tre Stefano. La sorgente è circa 230 metri più sotto, di fianco al sentiero 279 che scende il Meduce di Fuori e va giù fino alla strada regionale 48 che porta ad Auronzo, impossibile non vederla e sentirla, nel collegamento sul titolo una foto d’archivio fatta nel 2016. L’acqua è meravigliosamente fresca e soprattutto buona. Indicativamente 25′ per scendere, 30′ per risalire, diciamo che al massimo in un’ora ed anche meno si fa rifornimento.
Posso finalmente rilassarmi e fare qualche foto. Verso sud domina il campanile di San Marco, verso nord le luci del tramonto svelano le meraviglie delle dolomiti di Sesto, la Croda dei Toni illuminata dal fuoco della sera, questa la foto pià bella secondo me, ma anche le Tre Cime con davanti i cadini di Misurina e a destra partendo da dietro i Tre Scarperi, il Paterno e la croda Passaporto si difendono bene, infine i cadini di San Lucano. Ceniamo alla svelta poi qualcuno accende il fuoco dopo aver fatto rifornimenti di legna in giro per il pianoro sopra al bivacco. Passiamo una piacevolissima oretta a raccontarci le avventure di questi giorni e le esperienze passate di fronte alle quali mi sento piccolo piccolo, un bellissimo e piacevole gruppo. Verso le 21:30 andiamo in branda, sarà per me una notte insonne, non un minuto di riposo, passata con la porta aperta per il gran caldo dentro al bivacco.
09/08/2018 G3 : Bivacco Musatti – Rifugio San Marco
Distanza totale: 11,35 km (5.25↑, 5.5↓, 0.6↔)
Altitudine massima: 2555 m
Altitudine minima: 1825 m
Dislivello assoluto: 730 m
Dislivello totale: 1227 m
Totale discesa: -1487 m
Tempo totale: 12:40 (soste comprese)
Bivacco Musatti. Quota 2111 mt.
Alle prime luci mi alzo, non ce la faccio più a rigirarmi sul materasso, oltretutto ad ogni mossa si alzano delle zaffate nauseanti dalla coperta, esco in manica corta e pantaloncini, sono le cinque del mattino circa, mi godo il sorgere del sole. Mentre guardo in giro alla mia destra un rumore secco mi fa pensare ad un colpo di fucile, poi sento il rotolare della roccia, evidentemente un masso si è staccato da qualche parte. Alle sei come previsto si alzano tutti, è ora di prepararsi e far colazione e partire mentre il sole accende le cime. Ci incamminiamo che son da poco passate le sette sull’erba dei prati in un tratto piano lungo la parete est del Mescol, il Meduce di Fuori. Davanti a noi domina il campanile di San Marco, mentre dietro di noi ormai il sole illumina le dolomiti di Sesto. Il sentiero si alza leggermente percorrendo un tratto pieno di fiori ed erba alta ancora inumidito dalla notte. Abbiamo percorso 500 metri ed improvvisamente sulla destra si inizia a salire così vertiginosamente che viene naturale usare anche le mani per procedere. Sempre per prati raggiungiamo un primo tratto ferrato che ci aiuta a superare un pezzo ripido e scivoloso che si incunea tra due ali di roccia. Mentre noi sfruttiamo ogni centimetro di ferro per attaccare i nostri moschettoni una coppia ci svernicia per dirla alla Meda, senza imbrago, e senza quasi toccare la fune d’acciaio, impressionanti, lui ed anche lei. Si sale ancora sull’erba sempre molto in verticale fino ad un secondo tratto attrezzato che aiuta a superare gli ultimi metri ed alcune roccette e dà accesso ad una piccola cengia via via più ampia a quota 2230 circa. La cengia porta all’attacco del terzo tratto ferrato che conduce alla forcella Mescol risalendo le oblique roccie. Come si vede nell’ultima foto ci sono anche i ragazzi che sono arrivati ieri con noi al Musatti, a parte il fatto che si chiamano Stefano entrambi, portano in dote il mio orologio Garmin, perso al bivacco, sono in debito.
Forcella Mescol. (0.95 km, 2340 mt, 1h 55′)
Tutto sommato abbastanza semplice questo primo obiettivo, ma soprattutto siamo in orario una volta tanto, alle 8 e 40 siamo alla forcella. Sulla carta non è indicata la quota, posizionata tra cima Mescol (2413) ed il campanile san Marco (2777) la forcella dà accesso al catino del Meduce di Dentro. Verso nord-ovest si erge il gruppo del Cristallo, mentre verso nord-est ancora la Croda dei Toni e giù in fondo sulla macchia verde il bivacco. La discesa dalla forcella è agevolata da un cavo metallico che aiuta a superare dei salti di roccia fino a raggiungere un prato verde e quindi un piccolo ghiaione che conduce alla parte sommitale del catino del Meduce poco sotto quota 2200. Sembra di essere chiusi dentro una scatola di roccia, a sud la cresta Vanedel, a ovest cima Rotta e ad est cima Mescol. Raggiunti i pietroni del Meduce non ci è chiaro dove si trova la salita per la prossima forcella, mentre è ben visibile quella di Mescol da cui siamo scesi, proseguiamo seguendo i segni rossi, pochi è vero, spesso sbiaditi, ma sufficienti. Iniziamo a salire nuovamente uscendo dalla pietraia del meduce e ritrovando l’erba. Percorriamo quindi un canalone roccioso che porta ad un secondo tratto erboso misto a pietre piuttosto ripido, c’è perfino un tratto attrezzato con fune che inzia sull’erba e finisce sulla roccia. I segni bianco-rossi qui abbondano. Nei momenti di pausa immortalo il campanile di San Marco, che da qui mostra tutta la sua particolarità, e la forcella Mescol vista dall’alto. Raggiungiamo un tratto attrezzato con scalette di ferro diviso in due tronconi e che conduce ad un piccolo ghiaione. Ancora forcella Mescol vista da qua. Risalito il ghiaione si tiene la sinistra per camminare sulla nuda roccia, si vede finalmente la forcella, ancora lontana però, una serie di ometti indicano la strada verso le ultime asperità rappresentate da un tratto su pietre, un piccolo ghiaione, ed un po’ di rocce, poi finalmente ecco la forcella che identifica il confine tra la val del Fogo ed il catino del Meduce di Dentro, appunto forcella della Croda Rotta.
Forcella Croda Rotta (2.7km, 2480 mt, 4h 45′).
Dall’alto dei nostri 2480 ecco l’erbosa forcella di Mescol percorsa qualche ora fa, il campanile di San Marco, ed un paio di panorami, verso la croda Rotta e verso forcella Vanedel che non si vede ovviamente, mentre si vede benissimo il corno del Doge, me ne se sono accorto in foto, in quel momento non lo avevo notato. La cosa che non ti aspetti dopo aver raggiunto la forcella è di dover salire ancora. Butto lo sguardo al di là del valico cercando un passaggio verso il basso, ma è indubbio che bisogna salire, per di qua. Per agevolare la salita un po’ esposta c’è pure un tratto attrezzato, da questa inquadratura si può vedere la forcella appena lasciata e l’omonima croda a cui dà il nome. Saliamo quindi lungo il versante ovest della cresta Vanedel fino a quota 2550 circa, superata la breve salita si raggiunge, tramite un tratto un po’ infido costituito da rocce con un po’ di sedimento che le rende insidiose, un ghiaione sul quale incombe un masso gigantesco. Inizia da qui l’eterno saliscendi verso forcella Vanedel. Il ghiaione non è di quelli dove si può galleggiare, a metà circa si passa attraverso questa particolare trincea naturale, quindi verso la fine si riprende a salire in corrispondenza di questa roccia a forma di Moai. La salita non è ripidissima ma si fa sentire a questo punto della giornata. Il sentiero prosegue sempre su roccia senza tratti particolarmente difficili poi vicino alla forcella scende piuttosto ripidamente, ecco la val Vanedel in uno squarcio tra le rocce e l’ultimo tratto in discesa prima della forcella che ancora non si vede, è proprio un buco. Arriva Antonio e decidiamo di fermarci per pranzare sotto questa roccia prima di affrontare l’ultimo tratto verso il San Marco a due infiniti passi dalla forcella Vanedel.
Forcella Vanedel (3.7 km, 2372 mt, 6h 55′).
E’ incredibile, vediamo la roccia dopo la forcella, ma non la forcella, scendiamo ancora un po’ e troviamo pure un tratto attrezzato per accedere alla forcella, uno slargo di 5-6 metri, e subito dopo una scaletta con altro cavo. Il versante nord della forcella, la cresta di arrivo alla forcella, il versante sud non ho avuto il coraggio di andarlo a fotografare, lo ammetto, e mentre lo penso sono già aggrappato alla scaletta, al cavo d’acciaio e quant’altro mi può sostenere. Il sentiero prosegue su questo sperone roccioso, già visibile dalla forcella Mescol e facilmente percorribile, e giunge ad un nuovo tratto attrezzato che ne agevola la discesa con scalette e cavo. E’ in questo momento che ci becchiamo il primo temporale, Antonio copre lo zaino, io metto la mantella, assolutamente ingombrante per scendere la pur breve ferrata. Sotto di noi si intravede il sentiero che raggiungiamo a quota 2260 circa, si torna finalmente a camminare un po’ in piano, mi accorgo ora del Corno del Doge. Raggiungiamo un prato con un ometto un po’ macabro a quota 2100 circa, che segnala l’accesso ad un lungo tratto che aggira la Croda De Marchi, poi si dovrebbe vedere il Voltolina, infatti girato il costone ecco i primi alberi e finalmente la val di Mezzo, in fondo in fondo il bivacco un puntino invisibile. Per accedere alla val di Mezzo però ancora un breve tratto attrezzato, mentre dalla parte opposta è ora ben visibile la cengia che dovremmo percorrere. Qui abbiamo un piccola discussione io ed Antonio, il navigatore mi dice di tagliare quasi subito, Antonio dice di andare più avanti, scegliamo questa seconda opzione per restare intorno a quota 2000, ma non troviamo il masso con il triangolo del bivio Vanedel-Voltolina-Doge se non dopo qualche ricerca e divagazione sul pianoro della val di Mezzo, appena trovato il masso con le indicazioni (5.5 km, 2000 mt, 9h) prendiamo senza indugi il sentiero che nel suo tratto inziale è immerso nel verde dei mughi poi man mano che si procede diventa sempre più arido fino alla nuda roccia della cengia. Devo dire che il primo tratto non attrezzato è facilmente percorribile, la cengia è ampia e sicura, da qui posso immortalare anche il punto del tratto attrezzatto per l’accesso alla val di Mezzo prima percorso. La ferrata è ottima, fune ben tesa e recente credo, si percorre tutto in estrema sicurezza escluso questo unico punto dove il cavo è interrotto, non so perché visto che ci sono anche due chiodi già predisposti, sarà la stanchezza, le vesciche, la fame, la sete, il terreno reso scivoloso dalla pioggia, cerco delle scuse improbabili, ma per superare quei tre metri ho visto i sorci verdi e vi assicuro che la foto non rende la difficoltà del momento. Finito il tratto attrezzato si riprende a camminare sulla cengia che si sviluppa pressoché in piano intorno a quota 2100, poi finalmente ecco la Torre dei Sabbioni, punto di riferimento inequivocabile anche se distante che ci accompagnerà fin quasi al rifugio. Lungo la discesa del Corno del Doge, che inizia alla fine del tratto attrezzato, ci becchiamo il secondo temporale, più impetuoso del primo, ed anche più duraturo, ma pian piano scendiamo nella splendida Val di san Vito, verde, lussureggiante, ricca d’acqua e di salamandre nere che bisogna fare attenzione a non calpestare. Riecco apparire i cartelli indicatori (8.1 km, 2000 mt, 11h) gli ultimi li avevamo visti alla forcella Sacù vicino al Chiggiato, segnano la fine del sentiero 280 e l’inizio del 226 che ci porterà fino al rifugio, intanto pian piano ci avviciniamo alla Torre. Il punto più basso della val di San Vito sfiora i 2000 metri, poi si torna a salire verso forcella Grande. Ci fa compagnia anche un numeroso branco di camosci, mentre ormai lontano dietro di noi il Corno del Doge a est assume colorazioni meravigliose al calar del sole, il gruppo del Sorapiss a ovest con la croda Marcora ben visibile e punta Sorapiss che timidamente si nasconde tra le nubi, più a destra le cime della Caccia Grande.
Forcella Grande (9.9 km, 2255 mt, 12h 10′ ).
Ho ancora il bellissimo ricordo dell’ascesa al Sorapiss dello scorso anno, ma questo sarà ancora più bello, questa foto la dice lunga sulla maestosità delle montagne che ci circondano. D’accordo con Antonio ci lasciamo alla forcella Grande, possiamo dividerci ormai la strada è segnata, normalmente bastano 45 minuti per arrivare giù al rifugio che avevo già avvisato telefonicamente del nostro ritardo, ipotizzando il nostro arrivo per le 19:30, vi aspettiamo non preoccupatevi mi aveva risposto il gestore mentre eravamo sotto il diluvio. Percorro il tratto da forcella grande al San Marco in 25 minuti, quasi di corsa dove possibile, pur fermandomi per qualche foto al rifugio ormai visibile, a San vito, ad un meraviglioso Antelao colorato da sera e ad una fugace chiacchierata con una coppia che sta salendo verso il bivacco Slataper per affrontare domani il Sorapiss. Il sentiero è ripido ed in alcuni tratti ostico, va percorso con attenzione soprattutto con undici ore di cammino sulle gambe.
Rifugio San Marco (11.35 km, 1823 mt, 12h 40′).
Anche qui un gruppo di scout ravviva l’ambiente. Entro al rifugio, sono tutti a cena, mi accoglie il gestore e mi dà il benvenuto, mi accompagna alla stanza da due sul sottotetto, stretta e lunga ma accogliente, chiedo se è possibile fare la doccia, mi dice di si avvisandomi che sarà fredda, ma non mi interessa in cinque minuti sono pronto. Fredda è un eufemismo, gelida è già più appropriato, tre tornate una più pungente dell’altra, shampo, sapone e risciaquo, sono rigenerato. Torno dentro e mi siedo al tavolo con i ragazzi che hanno dormito con noi al bivacco Musatti, dovevano fermarsi al Voltolina, ma hanno optato per il San Marco spronati dal sottoscritto e mi ringraziano, oltre a loro degli austrialiani, dei tedeschi e altri italiani compresa la coppia bionica, insomma un rifugio internazionale. Intanto arriva il grande Antonio, è distrutto, mi guarda male, si aspettava un sentiero di discesa più agevole, si sitema anche lui poi ci sediamo al tavolo e ceniamo insieme, tutto ottimo, vado a letto con la panza piena e dormo otto ore di filato, cosa per me mai accaduta in un rifugio.
09/08/2018 G3 : Rifugio San Marco – Bar alla Pineta
Distanza totale: 12,9 km (2.8↑, 8.6↓, 1.5↔)
Altitudine massima: 2120 m (forcella Piccola)
Altitudine minima: 1050 m (bar alla Pineta)
Dislivello assoluto: + 309 m / – 1070 m
Dislivello totale: +463 m
Totale discesa: -1220 m
Tempo totale: 5h 40′ (soste comprese)
Rifugio San Marco. Quota 1823 mt.
Appena in piedi esco a fare qualche foto, la giornata è grigia, il nonno gestore dice che sarà pioggia, ma che m’importa sono così euforico, a me interessa solo il panorama in questo momento, una foto all’Antelao e a forcella Piccola il nostro primo obiettivo odierno, al Pelmo, cima Ambrizzola al centro con a destra niente popò di meno che il Sass di Stria, poi una foto a questo meraviglioso rifugio, una bomboniera come lo ha definito mia moglie. Oggi sarà una passeggiata. Ottima colazione, Tania ci porta anche del formaggio e prima di partire mi regala un souvenir del rifugio, dice che lo dona a chi passa più volte a trovarla, una specie di raccolta punti come al supermercato, non so come abbia fatto a ricordarsi della mia faccia con tutta la gente che passa di qua, ma sono comunque emozionato, commosso, ringrazio e parto insieme ad Antonio, mentre le nubi sembrano desistere dalle loro intenzioni mattutine ed il Pelmo torna un po’ a sorridere (scontrino san Marco). Siamo sul sentiero 227 che procede in falsopiano nel suo primo tratto tra i 1800 ed i 1850 metri sul versante sud di cima Bel Pra, tra erba roccia e mughi. Un primo strappo in corrispondenza di questo ghiaione dove si raggiunge quota 1900, poco prima del bivio per lo Scotter segnalatao dai cartelli (1.7 km, 1877 mt, 35′). Eloquente il colore di questi rami secchi su quanto movimento ci sia da queste parti. Subito dopo il bivio il 227 riprende a salire ma molto dolcemente fino a quota 1950, poi ormai in prossimità della forcella inzia la ripida salita evidenziata dal procedere a zig zag del sentiero che recupera quota 2050 in breve spazio. Dietro di noi molto evidente la traccia percorsa. Si arriva ad un primo punto panoramico che sembra la forcella, ma in realtà questa è più avanti, dal quale è possibile godere per l’ultima volta del panorama verso il San Marco, verso nord incombe Cima Scotter. Il sentiero prosegue praticamente in piano fino a raggiungere forcella Piccola (3.2 km, 2120 mt, 1h 30′) segnalata dai cartelli. Da qui parte anche il sentiero che sale sull’Antelao. Scendiamo verso il Galassi ormai visibile.
Rifugio Galassi (3.8 km, 2018 mt, 1h 45′).
Al rifugio ritroviamo la coppia bionica e la coppia di ragazzi di nome Stefano. Entriamo, caffé e dolce, oggi faremo i vacanzieri ed i goderecci, dopo tanta fatica ce lo meritiamo. Offro anche due birre ai ragazzi cercando di sdebitarmi in modo simbolico per la cortesia del giorno precedente (scontrini). Nei pressi del rifugio c’è anche questo monumeto ai caduti mentre verso est si apre ormai la val d’Oten. Ripartiamo di buona lena, il sentiero scende dolcemente senza affaticare le ginocchia e di nuovo in mezzo al verde, ma sappiamo che è lungo quindi non perdiamo tempo. Un ultimo saluto al Galassi, poi sulla nostra destra compaiono inequivocabili i segni di una slavina, impressionante il numero di alberi piegati, così come impressionano i lucidi lastroni dell’Antelao. Siamo ormai scesi verso i 1500 metri quando entriamo in un piccolo bosco di faggi superato il quale si arriva sulla gola (7.45 km, 1878 t, 3h 25′) che porta alla cascata delle Pile. La salita verso la cascata richiede qualche piccola attenzione su una catasta di pali che fa da scaletta per superare alcuni massi, poi tra un balzo e l’altro sui massi del torrente si intravede la cascata. Giunti in prossimità del catino il frastuono è assordante e quando si sale fino a vedere dove si tuffa l’acqua (7.7. km, 1880, 3h 35′) al frastuono si aggiunge un vento impetuoso e frizzante. Torno sui miei passi, ma ogni tanto mi volto indietro un po’ dispiaciuto nel lasciare questo luogo, ma Antonio mi sta aspettando, riecco il ponticello di legno, su a sinistra ed in pochi metri si arriva alla Capanna degli alpini dove Antonio mi sta aspettando.
Capanna degli Alpini (8.25 km, 1395 mt, 3h 47′).
Ovviamente ci offriamo il pranzo, insieme a noi c’è anche la coppia bionica. Un po’ desolato il posto, mi aspettavo molta più gente e poi quella veranda verde è proprio brutta, da rifare. Comunque ci pappiamo un bel piatto con salsiccia e polenta ed una birra a temperatura ambiente, orribile, non ci siamo, soprattutto considerando il conto, ci vorrebbe Borghese (scontrino). Comunque appagati lasciamo la capanna e proseguiamo sul 227 che da qui è praticamente un’autostrada. Facciamo diversi incontri interessanti come questa farfalla, e soprattutto questo serpente che identifico erroneamente in un primo momento a causa del suo colore nero, in realtà si tratta di una Vipera delle Alpi (Vipera Aspis Atra). Poco più avanti passiamo in localita Plaza Comedon (11.67 km, 1170 mt, 5h 21′) dove panche e tavoli invitano a fare una sosta, ma non per noi, poi nei pressi di un guado sul rio Diassa senza rendercene conto siamo all’attacco del sentiero 260 (12 km, 1145 mt, 5h 27′) dove ritroviamo i cartelli visti quattro giorni fa, increduli e soddisfatti. Un ultimo sforzo e siamo al Bar alla Pineta da cui siamo partiti.
Bar alla Pineta (12.9 km, 1050 mt, 5h 40′).
Un tempo normale dopo due giorni di grandi fatiche. Un caffé prima di partire, ma anche un pediluvio nel torrente Oten che ci ha accompagnato per tutta la giornata. Prima di chiudere ringrazio infinitamente Antonio per aver condiviso con me questa meravigliosa esperienza che solo grazie a lui sono riuscito a soddisfare, devo dire che ne è valsa la pena. Bravi tutti, mi e ti, e alla prossima.