6-7-8/08/2019 Adamello
Giorno1 06/08/2009: Da malga Bedole al Rifugio Ai Caduti dell’Adamello
Distanza totale: 7.4 km (5.7↑ – 0.7↓ – 1.0↔)
Altitudine massima: 3040 m
Altitudine minima: 1575 m
Dislivello assoluto: 1465 m
Totale salita: 1503 m
Totale discesa: -56 m
Tempo totale: 8h 12′ (soste comprese)
Presenti: Antonio, Cippe.
L’Adamello, una sera leggendo un articolo su Montagne, si parlava di un periplo del gruppo sviluppato su 6/7 giorni, fantastico, una vacanza, troppo impegnativo, ma l’articolo mi entusiasma, il fascino del ghiacciaio, i luoghi indubbiamente toccati dalla guerra, la storia dei primi esploratori, troppo interessante, mi metto a studiare un possibile percorso sviluppato su 3/4 giorni. La prima difficoltà è reperire degli articoli sull’ascesa all’Adamello, pochi, soprattutto dal rifugio Ai Caduti dell’Adamello e che parlino in particolare del ghiacciaio. Fortunatamente con mio papà ero stato in Val di Genova un bel po’ di anni fa, e quindi conosco un pochino l’ambiente di partenza, ma non la parte alta. Il piano prevede l’avvio dalla piana di malga Bedole, rifugio Ai Caduti dell’Adamello (2 notti) e rifugio Stella Alpina, per spezzare il rientro a piedi nella Val di Genova. Qualche giorno prima di partire mi faccio una scorpacciata di video e tutorial su come si affronta un ghiacciaio, ok ramponi e piccozza, ma il resto ? Siamo in due, serve una corda che corro ad acquistare, prendo in realtà una mezza corda, moschettone, e cordino, poi mi faccio una cultura su come prepararla, nodo a palla, prusik, barcaiolo diventano termini famigliari. Sono pronto.
Partiamo in realtà lunedì sera. L’idea era di cenare per strada e dormire al maso di Antonio (dei parenti in realtà) non ricordo la località, ma il mio compare per cause di lavoro fa tardi quindi passa a prendermi direttamente a casa, ceniamo a casa sua e partiamo tardi, sono le 9 passate da un pezzo, ma a mezzanotte abbiamo la testa sul cuscino, nei nostri sacco a pelo, dentro un maso meraviglioso, in una camera con stube da 25 mq circa, esagero Antonio? O forse è più grande ancora. La mattina ci svegliamo prestino, colazione giù al bar e poi via verso Carisolo. Ci piombiamo dritti all’ufficio turistico, dobbiamo acquistare i due biglietti per la navetta, solo in quel momento si occupano i posti, non è possibile prenotare. Ci va bene, c’è posto, torniamo all’auto a preparare lo zaino, sono le 9, tra mezzora passa la navetta. Togliamo il superfluo, c’è meno roba rispetto alle Marmarole, ma in più ci sono piccozza, ramponi e corda, non l’ho pesato, ma credo poco meno di 15 kg. La navetta è puntualissima, prendiamo posto ed iniziamo la salita che si svolge a tappe, ponte Verde, ponte Maria, Bedole. Arriviamo a destinazione che sono le 10 e 30 circa.
Parcheggio Piana di Bedole. Quota 1575 mt.
Bene si parte, siamo elettrizzati, la piana di malga Bedole è come me l’aspettavo, un bel pascolo. Dal parcheggio della navetta si prende la strada bianca in leggera salita, si passa di fianco a malga Bedole (0.23 km, 1584 m, 3′) e si arriva in pochi minuti al rifugio Adamello Collini al Bedole (0.95 km, 1640 m, 12′). Qui ci sono due alternative, a destra il sentiero che sale al Mandrone, a sinistra il sentiero 241, il nostro. Una tabella indica 4h 30′. A spanne ci siamo, 1400 di dislivello, 300 m/h. Il tracciato si restringe subito dopo la prima curva, la stradina diventa un vero sentiero, alcuni gradoni di legno (1,7 km, 1700 m, 25′) permettono di superare un piccolo dosso oltre il quale il panorama si apre un po’ e la salita si addolcisce concedendoci un bel tratto piano, tanto piano quanto illusorio. Un ponticello di legno permette di scavalcare il Sarca e proprio poco sopra il ponte noto un ricovero, malga Matarot (2.41 km, 1801 m, 46′) forse un rifugio per i pastori, molto spartano, ma comunque direi utilizzato. Attraversiamo il ponte e lo spettacolo ha inizio senza alcun preavviso, nessuna locandina, nessun megafono ad annunciarlo, solo un lieve brusio di sottofondo che ancora non disturba. Ad ogni passo una foto, non so come immortalare tale bellezza ho paura che qualcosa mi sfugga. Dietro di noi nel versante opposto una replica, quasi un abile gioco di specchi, spruzzi, schiuma e vapore acqueo attirano la nostra attenzione, non capiamo bene di cosa si tratta, ma tra qualche giorno tutto sarà chiaro. Nel frattempo qualcuno ha cambiato canale, il dolce sentiero ed il meraviglioso panorama sono spariti, sostituiti da una terribile salita (2.87 km, 1810 m, 55′) che si snoda tra massi accatastati l’uno sull’altro e delimitati da una fitta vegetazione che nulla lascia intravedere. E’ passata un’ora quando iniziamo a salirlo, e se anche qualche bel fiorellino qua e là cerca di mitigarne l’asprezza, esso non dà tregua, mai, sempre più su mentre il fondovalle diventa più piccolo, lontano ed insignificante, poi finalmente dopo una buona mezzora eccone la fine (3.53 km, 2027 m, 1h 38′) e lo spettacolo ricomincia, questa volta accompagnato da una colonna sonora chiara ed infinita. Alla nostra sinistra l’acqua scorre impetuosa imprigionata dalla roccia che molto tempo fa tratteneva ben altre consistenze. Il frastuono è assordante, ancora qualche cespuglio, qualche masso, poi diventa tutto monotematico, la roccia prevale, si aggiunge il vento, è l’aria spostata dalla massa d’acqua, continuo a salire alla ricerca di un punto più tranquillo dove non ci sia aria, ma desisto, mi fermo e facciamo pausa al cospetto delle cascate (4.5 km, 2281 m, 2h 50′). In questo video ho cercato di catturare il frastuono ed il movimento d’aria provocato dall’acqua.
Pausa pranzo fronte cascate (4,5 km, 2281 mt, 2h 50′).
Siamo più o meno a metà strada, sia come distanza che altitudine e come tempistica leggermente in ritardo ma di poco. Ci fermiamo una mezzora giusto il tempo di mangiare con calma, goderci il panorama e fare le prime riflessioni. Le poche persone che abbiamo incontrato durante la salita sono sparite, tutti hanno fatto ritorno alla piana di Bedole, qualche centinaio di metri sotto di noi una coppia consuma il pranzo, ma anche loro torneranno indietro. Riprendiamo la salita, finalmente ecco le funi di ferro di cui avevo letto negli articoli, non che siano indispensabili non ci sono tratti esposti, più che altro servono a superare la roccia liscia, e qui ce n’è parecchia, che pioggia ed umidità rendono insidiosa. E’ evidentissimo il logorio provocato dal ghiacciaio in tempi passati, continuiamo a salire, la cascata ormai è piccola e lontana, Antonio ha già finito la benzina, ma stoicamente procede, a modo suo, con molte pause e grande sforzo psicologico, immortalato in questa eloquente foto. Sempre più su, sempre più in alto, sempre con le funi a farci compagnia e sempre più lontano dallo scroscio del torrente. Nelle mie pause mi diletto a fotografare qualche bel fiorellino, o le staffe di questo tratto verticale, poi arrivano le nubi, segno che il tempo sta cambiando, a nascondere le bellezze intorno a noi. Per incoraggiare il mio partner inizio a snocciolare la quota ogni 50 metri, ma non so se faccio peggio, intanto però la pendenza si è addolcita anche se le nostre gambe non se ne accorgono ed ogni passo si è fatto pesantissimo, ma senz’altro il panorama sta cambiando, davanti a noi non più la parete di roccia, ma distese di pietre e massi, e sempre tanta acqua, sgorga dappertutto. Delle meravigliose margherite gialle annunciano un nuovo cambiamento, anche il cielo si riapre, spuntano le cime, la roccia ha cambiato colore, è più vivace ed arrotondata, il lavoro del ghiaccio è eloquente in questa foto, davanti a noi però i segni bianco rossi sembrano infiniti e mentre dietro le nubi hanno nascosto le nostre fatiche alla nostra sinistra ecco la novità: il ghiacciaio (5.6 km, 2725 m, 5h 30′). La foto non può spiegare l’emozione, per un attimo la stanchezza e le fatiche svaniscono, la bocca rimane aperta, gli occhi spalancati, il respiro si placa, l’immensità prevale. E’ rimasto nascosto fino all’ultimo ed anche se dai 2800 metri se ne può intuire la presenza è verso i 2900 che si manifesta chiaramente in tutta la sua grandezza, grandezza che spiega il perché di tutta quell’acqua, anche se sembra impossibile che sia così tanta, costante e continua l’acqua di fusione. Ci allontaniamo dal laghetto e ci dirigiamo verso i pali della teleferica che si vedono in lontananza, falso punto di arrivo, che lasciano presagire la presenza del rifugio al di là dello sperone roccioso. Il ghiacciaio della Lobbia ci accompagna in questo cammino, sempre al nostro fianco sinistro, insieme al Crozzon di Lares, intanto il tempo sta velocemente peggiorando e qualche goccia di pioggia inizia a punteggiare le rocce. Giriamo lo sperone e ci rendiamo conto che ne abbiamo ancora un po’. Siamo appena sotto i 3000 metri, scorgo degli ometti poco sopra il sentiero (6.85 km, 2975 m, 7h 25′) ma Antonio non si fida preferisce seguire il sentiero segnato che però scende fino al ghiacciaio per poi risalire verso il passo della Lobbia Alta. Una lingua di rocce taglia il ghiacciaio della Lobbia, cerchiamo di evitare la discesa sul ghiaccio, restiamo alti, ma il versante è ripido e liscio, ci incrodiamo, risaliamo a fatica il pendio fino a trovare un percorso agibile. Il gestore del rifugio dalla forcella stava seguendo le nostre evoluzioni e preoccupato ci stava venendo incontro, me lo trovo davanti proprio quando aggiro un enorme masso, “salve”, “non aveste visto gli ometti?” …. Sgrunt! Sbuchiamo in prossimità dell’altare in memoria di Giovanni Paolo II (7.25 km, 3040 m, 8h 6′) ormai è fatta, sullo sfondo cima Giovanni Paolo II e le tre cime del Dosson (settentrionale, centrale e meridionale), da qualche parte lungo la cresta c’è l’ippopotamo, il cannone portato dagli alpini ed ancora in loco a testimonianza delle idiozie del passato, i cui ricordi riaffiorano inequivocabili tra i nostri piedi, mi impressiona in particolare la linea di reticolati resa inoffensiva dal tempo, penso agli uomini che l’hanno stesa, quanta inutile fatica e per quale immensa idiozia. Una bellissima cordicella accompagna gli ultimi passi verso il rifugio ora si visibile sulla nostra destra. Intanto arriva l’elicottero per prelevare uno sfortunato escursionista che accusa forti mal di testa, meglio non rischiare ci spiegherà il gestore, il tempo è in peggioramento.
Ai caduti dell’Adamello (7,4 km, 3040 mt, 8h 13′).
Il rifugio è uno spettacolo, ben fatto, ben progettato, il gestore è gentilissimo, disponibile, ci tuffiamo nella nostra stanza, una due posti, Antonio fa un riposino è distrutto, io vado a girovagare, spettacolare la saletta dedicata a Giovanni Paolo II con una teca-museo contenente tutti i reperti della guerra trovati in loco, c’è di tutto all’interno. La sala da pranzo è piccola ma accogliente con finestre panoramiche anche se il tempo non permette di vedere granché. Proprio durante la cena arriva il primo temporale, i fulmini illuminano la stanza a giorno, il rumore del tuono a queste altitudini incute soggezione ed impone il silenzio, poi dopo qualche secondo torna il chiacchiericcio e la luce che per qualche secondo se ne era andata forse spaventata anche lei dal frastuono. Prima di andare a dormire facciamo due chiacchiere con il gestore sulle nostre intenzioni, ci sconsiglia la cima dell’Adamello, il tempo sarà brutto, ci consiglia invece un giro sul cresta Croce con capatina all’ippopotamo, l’idea non mi dispiace. Andiamo a dormire.
Giorno2 07/08/2019: Dal rifugio Ai Caduti dell’Adamello al rifugio Mandrone
Distanza totale: 5.5 km (1.6↑ – 3.5↓ – 0.4↔)
Altitudine massima: 3040 m
Altitudine minima: 2448 m
Dislivello assoluto: -592 m
Totale salita: 218 m
Totale discesa: -936 m
Tempo totale: 3h 30′ (soste comprese)
Rifugio ai caduti dell’Adamello. Quota 3040 mt.
Ieri sera era Antonio ad essere a pezzi, stamattina lo sono io, un mal di testa omogeneamente distribuito mi opprime, ho anche un po’ di nausea, ma la cosa che più mi preoccupa è che non ho fame, e per me al mattino vuol proprio dire che sto male. La causa credo sia la notte in bianco, passata ad ascoltare i 4 o 5 temporali passati sopra il rifugio ed il dolce brusio di Antonio intervallato da autentici grugniti, beato lui che si è alzato bello riposato e fresco come una rosa. Rimango a letto, prendo un oki, ed attendo fiducioso. Dopo una mezzoretta mi alzo, scendo in sala da pranzo e faccio colazione, sono l’ultimo non c’è più nessuno, colazione …. bevo una tazza di tè, non mi sento di prendere altro, che disdetta, comunque solo colazione dolce nulla di salato. Rinuncio anche alla Cresta Croce e all’Ippopotamo, sto meglio, ma ho paura di salire ancora, me ne pentirò. Giusto per farvi un’idea ci muoviamo che sono le 9 e 40, avvisiamo il gestore che scendiamo giù al Mandrone, prepariamo gli zaini e ci incamminiamo verso la forcella. Prima di partire però dal terrazzo del rifugio preparo questo panorama
è semplicemente impressionante. Sembra impossibile ma l’Adamello non si vede, a sinistra la cima del Corno Bianco quella con i due ghiacciai uno a sinistra e l’altro a destra, l’Adamello è dietro, forse più sotto riusciremo a vederlo sto Adamello. Più a destra in sequenza il corno Baitone, cima Garibaldi, punta Venerocolo, monte Venezia, monte Mandrone e corno Bedole. Prima di scendere qualche foto dal passo della Lobbia Alta, una al ghiacciaio dove ieri dovevamo scendere, il ghiacciaio della Lobbia e dietro il Crozzon di Lares a sinistra ed il corno di Cavento a destra, una verso sud a Punta Giovanni Paolo II e le tre cime del Dosson, una verso nord al ghiacciaio dell’Adamello, ed una ad un paio di rotoli di filo spinato. Raggiungiamo il ghiacciaio, iniziamo la vestizione, la traccia gps parte da qui, davanti a noi una guida con un gruppo di turisti tedeschi fa altrettanto. Ci mettiamo un bel po’, d’altronde è la prima volta, indossiamo i ramponi, preparo la corda che agganciamo con due moschettoni all’imbrago e sistemiamo i due prusik, uno a testa. Il gestore ci ha spiegato di stare lontani dalla neve bianca e marrone quando camminiamo sul ghiacciaio, lì si nascondono le insidie. Siamo pronti, per fortuna mi ricordo di far partire il gps, iniziamo a scendere testando la presa dei ramponi sul ghiaccio che qui è coperto di neve molle, e direi che è ottima, raggiungiamo in pochi minuti le caratteristiche macchie marroni sotto al rifugio che ho visto in molte foto. Sembrano dei mucchi di macerie, in realtà sono i resti dei baraccamenti (0.3 km, 2971 m, 10′) che il ghiaccio sta pian piano liberando, ma sembra non volersene disfare così facilmente forse ormai affezionato dopo un centinaio di anni passati insieme, ci mettiamo a ravanare, c’è di tutto, ossa, denti, lamiere, scatolette, legno, ed anche una bomba di mortaio, si possono passare le ore, ma il tempo sembra peggiorare e sappiamo che è prevista ancora pioggia, vorremmo evitarla. Antonio con il bastoncino solleva l’ordigno, siamo incuriositi, dice che c’è qualcos’altro sotto, ma il ghiaccio la trattiene, ricade nella sua posizione, dopo qualche secondo realizzo che stiamo facendo una cagata, lasciamo stare, non si sa mai. Raggiungiamo una pietraia che il gestore ci aveva annunciato, cerchiamo la neve o il ghiaccio dove poter mettere i ramponi, sotto di noi in fondo si vede il gruppo con la guida. Usciamo dalla neve molle torniamo nuovamente sul ghiaccio puro, per un po’ camminiamo ad istinto, non ci sono segnali ovviamente, restiamo sul bordo, sguardo a terra alla ricerca di reperti e facendo attenzione alle trappole. Ecco ancora delle matasse di filo spinato, diverse dal solito, queste sono con raggio più ampio, secondo me erano quelle pronte ad essere utilizzate per preparare le barriere di filo spinato sulla prima linea del fronte, le cosiddette concertine, ce ne sono veramente parecchie. Guardando qua e la Antonio trova dei pallini di Shrapnel, uno me lo tengo per ricordo, poi trovo una pallottola, senza ogiva e con il cilindro a brandelli, ma non posso lasciarla li, il ghiacciaio ormai l’ha liberata, la prendo, altro ricordo. Più avanti troviamo una zona con alcuni crepacci, ben visibili, dobbiamo solo girovagare un po’ per trovare il passaggio adatto. Di sotto ormai è visibile la fine del ghiacciaio, nelle fessurazioni di un azzurro celestiale (1.5 km, 2720 m, 1h 10′) sentiamo scorrere l’acqua in profondità, lontano zoomando un po’ si scorge il rifugio da raggiungere, vicino a noi le rocce alla nostra sinistra sono chiaramente segnate dall’azione del ghiacciaio che tanti anni fa le ricopriva. Senza rendercene conto siamo arrivati alla fine, ecco la propaggine più avanzata del ghiacciaio, da cui fuoriesce l’acqua di fusione e scioglimento. Facciamo pausa.
Pausa pranzo sotto il ghiacciaio Mandron (2,4 km, 2620 mt, 1h 50′).
Mettiamo via la corda e laviamo i ramponi sull’acqua del ghiacciaio, mangiamo qualcosa, ma le nuvole non promettono nulla di buono. Ci fermiamo in tutto una ventina di minuti poi riprendiamo il cammino. Dobbiamo raggiungere il ponte di attraversamento del torrente (2.64 km, 2560 m, 1h 55′) e a fare da segnavia oltre ai classici segni bianco rossi ci sono anche queste bombe. Mi dispiace lasciare il ghiacciaio, prima di attraversare un’ultima foto, nella mia testa frulla un pensiero, spero di rivederti. E’ ora di guardare avanti, lasciamo il torrente che scende sempre più impetuoso per conto suo aumentando velocità e fragore, un rumore continuo, dapprima fastidioso, ma poi ci si fa l’abitudine. Prendiamo il sentiero 236 o anche itinerario glaciologico Virgilio Marchetti che scende alla nostra sinistra in un ampio e dolce anfiteatro, una volta occupato dal ghiacciaio, sotto i versanti del monte Mandrone ed il Corno Bedole. Il paesaggio è un po’ brullo, si cammina in pratica su una pietraia, poi appena scesi un po’, ecco dove va a finire tutta quell’acqua, sembra una vasca di decantazione, un lago raccoglie il fluido intriso di sabbia e detriti che si depositano sul fondo e pian piano lo stanno riempiendo, poi una volta ripulito si prepara per un nuovo salto nel vuoto. Scendiamo ancora un po’, siamo ormai intorno a quota 2500, il sentiero si fa un po’ più verde, ricompaiono erba, fiori e muschio, ci stiamo avvicinando al rifugio che ora si vede nitidamente davanti a noi. Prima di arrivarci però passiamo nei pressi del laghetto Mandron, (4.8 km, 2403 m, 3h). E’ impressionante la quantità d’acqua che scende da questi versanti, decine, centinaia di rivoli grandi e piccoli scendono da ogni dove. Dobbiamo risalire un pochino per il rifugio, superato il lago mi volto, il panorama offre questo spettacolo, si vede ancora il ghiacciaio del Mandron, la parte finale, ed alla sua sinistra le tre Lobbie, Bassa, Di Mezzo e Alta, sotto quest’ultima c’è il rifugio ai Caduti dell’Adamello. Un po’ più avanti una splendida pozza d’acqua (5.22 km, 2407 m, 3h 15′) completamente verde in quanto ricoperta di piante acquatiche, va attraversata tramite una passerella di legno, siamo ormai nei pressi del rifugio, dal quale si può godere di questa visuale, in sostanza i due ghiacciai, a sinistra quello della Lobbia percorso ieri e a destra il Mandron disceso oggi.
Rifugio Mandron (5,5 km, 2449 mt, 3h 30′).
E’ presto, chiediamo se c’è posto, ovviamente si, ci danno pure una stanza tutta per noi, ci sono 4 posti letto, ma siamo soli. Sistemiamo le nostre cose facciamo una doccia, spuntino e poi andiamo a farci un giretto nei paraggi. Vicino al rifugio c’è una chiesetta, e poco più avanti un cimitero della guerra e poco sopra un edificio adibito a centro glaciologico, provo ad entrare ma la porta sembra chiusa, ci ripromettiamo di chiedere al rifugio mi piacerebbe visitarlo. Rientriamo alla spicciolata perché inizia a piovere. Passiamo il pomeriggio a sfogliare libri e riviste, la maggior parte relativi a questi luoghi o alla montagna in generale ed ogni tanto buttiamo lo sguardo fuori dalla finestra. Immaginate la stessa foto ma con un orso al di là del vetro, non è fantasia, l’orso è stato immortalato fuori da questa finestra mentre guardava dentro, incuriosito. La cena è stata ottima, peccato per i canederli, avevo proprio voglia di mangiarli, ma il cameriere si è dimenticato di dirmelo che c’erano, pazienza, ho apprezzato molto però la terrina di verdura fresca, offerta come contorno aggiuntivo.
Giorno3 08/08/2019: Dal rifugio Mandron a Malga Bedole
Distanza totale: 5.3 km (0.4↑ – 4.2↓ – 0.7↔)
Altitudine massima: 2498 m
Altitudine minima: 1623 m
Dislivello assoluto: -826 m
Totale salita: 179 m
Totale discesa: -1040 m
Tempo totale: 2h 45′ (soste comprese)
Rifugio Mandron o città di Trento. Quota 2442 mt.
Finalmente una giornata spettacolare, tempo bellissimo, dormita meravigliosa, alle sei mi sveglio ed esco fuori a fare qualche foto, il sole ha già colorato di giallo le vette delle tre Lobbie e di punta Paolo Giovanni II, quanto mi dispiace non averla fatta ieri e non aver toccato il cannone ippopotamo che tanto volevo vedere, sulla destra il monte Mandrone parzialmente nascosto dal corno Bedole l’ultima cima sulla destra. E’ tutto così limpido, irreale, il ghiacciaio del Mandrone sembra a due passi, bellissimo, ne faccio un’altra di foto con tutti e due i ghiacciai, ancora più bello, una anche agli ospiti del prato sottostante. Intanto si è alzato anche Antonio, facciamo colazione, all’italiana niente salato, ma ho fame e mi abbuffo. Sistemati gli zaini paghiamo il conto e ci mettiamo in marcia che sono ormai le otto, siamo gli ultimi ma non abbiamo fretta. Usciamo fuori, il sole è alto, tutto è più chiaro e luminoso, secondo il cartello ci aspettano due orette di discesa. Antonio, da buon osservatore che è, nota subito la differenza della portata d’acqua dei due torrenti, sembra che qualcuno abbia parzialmente chiuso i rubinetti, in realtà la variazione è dovuta alla differenza tra temperatura diurna e notturna. Allora mi sono divertito a confrontare le due cascate visto che le ho fotografate sia al mattino che al pomeriggio, quella della Lobbia e quella del Mandrone, si nota la differenza ? Vi aiuto, a sinistra il pomeriggio a destra il mattino, nella cascata del Mandrone la differenza è più evidente anche perché è più vicina in linea d’aria. Riprendiamo il cammino passando per la chiesetta (0.1 km, 2430 m, 5′) il cimitero, ed il centro glaciologico (0.45 km, 2420 m, 15′) proprio sopra il cimitero, al rifugio ieri sera mi avevano assicurato che è sempre aperto. Effettivamente la porta è socchiusa, probabilmente ieri non ho spinto abbastanza forte, entriamo, molto bello, ben fatto ed interessante. Mi colpisce in particolare il primo cartellone dove si evidenzia che nella seconda metà dell’ottocento il ghiacciaio della Lobbia e del Mandrone quasi si toccavano a livello della piana di Bedole, incredibile, non so se rendo l’idea, le cascate che noi abbiamo fotografato non esistevano, era tutto coperto di ghiaccio come si evidenzia in questa foto del 1903 sempre ad opera di Julius Payer, a cui è intitolata una delle cime, primo esploratore del gruppo Adamello nel 1864, e bravo Julius. I ruderi antistanti il centro studi Adamello sono quelli del rifugio costruito nel 1894 dagli alpinisti tedeschi della sezione Lipsia, fu distrutto dalle batterie italiane nel 1916. Dopo questa breve divagazione storica riprendiamo la discesa, il sentiero 212 in questo tratto è ancora docile, in gran parte lastricato, d’altronde con l’immensa quantità d’acqua che scorre ovunque era necessario proteggerlo in qualche modo, di fronte a noi la conca risalita due giorni fa, sotto i nostri piedi l’erba ancora carica di umidità, in lontananza la teleferica sta salendo verso il rifugio Ai caduti dell’Adamello. In questo primo tratto il 212 scende molto poco, 150 metri circa, la discesa è tutta nella parte finale, ci sono comunque dei tratti attrezzati, ma non c’è esposizione, credo sia solo per sicurezza magari in presenza di neve o terreno bagnato.
Bivio Crozeti (1.8 km, 2253 mt, 1h 13′).
Passiamo il bivio per il passo Cercen (3022 metri, giro interessante anche questo) vediamo davanti a noi il sentiero che si snoda verso il basso con un lieve aumento della pendenza e dei curiosi lastroni che dopo un po’ possiamo ammirare da vicino, il colore scuro è dovuto all’acqua che scorre sopra, una lieve patina umida come una pellicola per gli alimenti. Lo sguardo però tende sempre alle spalle, temo che tra un po’ non potrò più ammirare il dolce e fragoroso scorrere delle acque di fusione, pazienza, intanto mentre penso a quante belle cose ho visto in questo giro eccoci giunti a mezza via (2.47 km, 2100 m, 1h 37′). Siamo a 2100 metri, per chi sale il più ormai è fatto, per chi scende, come noi, ora inizia la parte faticosa, da questo momento il sentiero inizia una vera e propria serpentina con lo scopo di addolcire la pendenza, ci sono dei tratti veramente ostici, complice anche la pioggia di ieri che li rende viscidi ed a tratti fangosi. Fortunatamente il bosco mitiga la calura del sole, soprattutto per chi sale, e c’è veramente tanta gente, tutti diretti al Mandron per il pranzo, vecchietti, adulti, giovani, adolescenti, bambini, ogni tanto con Antonio ci domandiamo “secondo te ce la fa?” perché qualcuno è veramente in difficoltà, mi colpisce un ragazzino sui 10/12 anni, zainetto in spalla, bastoncini, sguardo fisso verso il basso, passo pesantissimo e ciondolante, il corpo ondeggia a destra e sinistra ad ogni passo, stoico, e non sa che la strada è ancora lunga, ha la mia ammirazione. Passiamo un bellissimo ponticello (3.25 km, 1860 m, 2h 5′) che permette di superare questo rio, ancora pochi metri ed improvvisamente sbuchiamo dal bosco con in fronte il rifugio Adamello Collini “al Bedole“(4.1 km, 1640 m, 2h 30′). C’è tanta gente, devo aspettare il momento propizio per fare la foto, ma non è finita, ci aspetta ancora un breve tratto di bosco su strada bianca, poi ecco la piana di Bedole, la malga (4.8 km, 1584 m, 2h 40′) il parcheggio, la navetta, è fatta. Penso a quel cartellone del 1864 di Prayer, qui sotto i due ghiacciai quasi si univano. Questa navetta fa la spola tra la malga Bedole e ponte Maria, dove scendiamo e prendiamo una seconda navetta che fa la spola tra ponte Maria e ponte Verde, bella chiacchierata con l’autista che ci spiega alcune cose sul funzionamento del servizio. Al ponte Verde scendiamo, ci aspetta il trenino che ci porterà fino a Carisolo, esattamente dove abbiamo l’auto.
Partenza navette (5,3 km, 1575 mt, 2h 45′).
A cui bisogna aggiungere il tempo delle navette che sono veloci e sincronizzate con attese di pochi minuti, ne parte una ogni mezzora, ed il tempo del trenino per il quale occorre attendere un pochino. Arriviamo a Carisolo che sono le 15 circa.
P.S.: Attenzione al segnale telefonico, dopo il ponte Verde inizia a scarseggiare per poi sparire del tutto prima di ponte Maria, sparire significa che per tre giorni non abbiamo avuto segnali di vita dal mondo esterno, ed anche questo può essere positivo.
Sicuramente ci tornerò, troppe cose da vedere lassù, ma la prossima volta l’approccio sarà diverso. Si può partire comodamente da Padova e quando si arriva accodarsi ad una navetta dopo aver pagato il prezzo di salita, chi ha prenotato nei rifugi infatti ha libero accesso. Prima tappa al Mandrone 2500, seconda al rifugio Ai caduti dell’Adamello 3040, per spalmare lo sforzo ed acclimatare il fisico all’altitudine.
Come sempre bravi Antonio e Cippe, un ringraziamento ad Antonio soprattutto per il primo giorno, stoicamente ha raggiunto l’obiettivo, ed anche per il secondo per aver sopportato il mio malessere mattutino che ci ha fatto rinunciare alla Cresta Croce e all’Ippopotamo, sarà per la prossima, attendo volontari.
Bellissimo giro…. Incredibile cosa possa esserci ancora sotto il ghiaccio… Grande Antonio!! Avete preso il trenino??