Camminare (by Paolo V.)

Psicologia in cammino
Guido Ulula alla Luna (medico e psicoterapeuta, camminatore).
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Perché ci piace camminare? Perché è tornato a piacerci così tanto, proprio nell’epoca in cui i viaggi con altri mezzi di locomozione sono più facili ed alla portata di tutti? Perché tanti libri sull’argomento? Perché il fiorire di festival che lo promuovono? Cos’ha di speciale questa che è la cosa più semplice che ogni essere umano, dall’età circa di un anno, fa con assoluta normalità? Perché il camminare, che per migliaia di anni è stato necessità/fatica/rischio, è diventato inaspettatamente attraente/trasgressivo/innovativo per quella fetta di popolazione mondiale più attenta ad un progresso sostenibile, persone sicuramente benestanti ed istruite?
E’ vero che la medicina preventiva ne sta facendo un cavallo di battaglia per combattere le malattie da sedentarietà e stress che predominano oggi. I diecimilapassi al giorno, equivalenti ad un’ora di cammino, cioè 5 o 6 km., dovranno diventare il cavallo di battaglia di ogni medico di famiglia che si rispetti. Negli Usa già molti medici si rifiutano di prescrivere farmaci, ad esempio quelli anticolesterolo, se i pazienti non fanno diete equilibrate ed una sana passeggiata die. Molti studi hanno ormai dimostrato che semplicemente camminando produciamo una buona dose di quelle sostanze, serotonina ed endorfina ad esempio, che ci danno benessere.
Ma la spinta al camminare, esplicitata da tanti racconti in prima persona dei camminatori, va ben oltre queste pur sacrosante motivazioni. Si affrontano ragionamenti più profondi, che spaziano dal campo psicologico, a quello filosofico, per spingersi spesso ad esplorare dimensioni spirituali.
Tutto questo è molto interessante, perché pone l’esperienza del camminare a pieno titolo fra le pratiche psicosomatiche, da molti chiamate olistiche, cioè che coinvolgono l’intero essere, sia nella parte fisica che mentale. Le teorie della complessità mettono in luce le interazioni fra i diversi aspetti della persona. La fisica quantistica, che è alla base di ogni ragionamento scientifico attuale, ha già da tempo dimostrato che ciò che in un momento è materia, in un altro diventa energia… cioè non esiste una differenza fra corporeo e psichico, dipende solo dal punto di vista dell’osservatore quello che andremo a descrivere. Si intravede l’ipotesi che attraverso il gesto del camminare l’uomo comune sperimenti in prima persona il superamento dell’assioma cartesiano, che pone come fondamento dell’essere umano il pensare rispetto alla fisicità nella conoscenza del mondo. Il pensiero sopra il corpo, così come l’uomo sopra la natura. Un antropocentrismo che sta portando alla distruzione del pianeta in cui viviamo e, di conseguenza, dell’uomo stesso. Il camminatore consapevole sa che cerca armonia con l’ambiente che attraversa, come sa che vuole provare un sentirsi unico, intero e in sintonia con tutte le parti del proprio sé.
Lo scopo della psicologia è conoscerci. Se per conoscerci oggi usiamo anche il camminare, vuol dire che abbiamo spostato il nostro modo di osservare i fenomeni, che usiamo la totalità del nostro corpo come vera e propria sonda nel mondo, che non impariamo da presunzioni intellettuali ma torniamo a fidarci di tante altre nostre componenti. Jung, descrivendo le tipologie umane, spiega che esiste una funzione pensiero ed una sensoriale, la prima specifica del cervello maschile e la seconda del cervello femminile. Non c’è nessun dubbio che la nostra civiltà ha ipertrofizzato la modalità pensiero… il famoso ritratto dell’uomo con una testa enorme rispetto ad un corpo minuscolo. I guai derivati dall’allontanamento dall’equilibrio fra queste due componenti sono drammaticamente evidenti, sia nella salute dell’uomo che in quella del pianeta. Col camminare noi torniamo a privilegiare la sensorialità. E’ a partire dai sensi che costruiamo il nostro sapere. Non è solo l’inebriarci di un bel paesaggio, del profumo dei fiori, del gusto di un frutto colto al volo, delle carezze del vento, del canto degli uccelli… una vera orchestra sensoriale scatenata dal movimento nella natura. E’ che camminando saniamo la ferita di un uso abnorme della testa, riusciamo finalmente a dare pace a quel devastante pensare che è alla base di ogni forma di ansia o depressione. Non è solo il respirare a pieni polmoni che ci dà gioia, ma il ridare voce a quelle tante parti di noi svalutate da una visione filosofica errata. Nel camminare finisce la dittatura del pensiero e si torna alla democrazia fra tutte le nostre componenti. Questo risentirci uomini in sintonia con noi stessi e con la natura, avrà sicuramente effetti positivi sulla nostra salute individuale e sul come cureremo l’ambiente che ci nutre.
Jung divide poi le personalità in prevalentemente estroverse o introverse. Non c’è dubbio che la nostra civiltà ha sposato l’estroversione, che è apparire/dover essere all’altezza/rispondere a modelli… il tutto finalizzato al consumismo. Chi non si dà da fare a farsi conoscere/accettare rischia di essere emarginato dagli altri… al limite di venir considerato un depresso o un antisociale. Questo prevalere del superficiale mostrarsi, del mettersi la maschera adatta alla situazione, ha portato ad un estremo impoverimento della capacità introspettiva, che è dialogo con noi stessi, vera conoscenza del nostro essere autentico, il saper stare da soli, l’andare a fondo del nostro talento, curiosi in quanto unici ed irripetibili, ognuno diverso dall’altro. Anche qui, i camminatori ci stanno insegnando che lungo la strada si dilata il tempo del dialogo con noi stessi. Anche le difficoltà del cammino ci aiutano a rinforzare non solo la tempra fisica, ma proprio la determinazione di mettere alla prova i nostri intenti, costringendoci a superare le paure. Entrare nell’agire, in prima persona, noi di fronte alla realtà della natura e della vita, ci dà il coraggio di lasciarci andare al “sia quel che sia”, quel vivere “qui e ora” che ci permette di fuggire dai fantasmi del passato, presenti a noi e agli eventi che momento per momento arricchiscono il nostro vissuto. Il cammino dunque come palestra d’introversione. Vista questa come una ricchezza, come uno strumento per coltivare quello che io chiamo il nostro “spazio interiore”. Definisco spazio interiore quella dimensione malinconica che in noi percepisce il mistero della vita e della morte. E’ nel silenzio del camminare che sentiremo emergere intuizioni ed emozioni e consapevolezze, che nel quotidiano sommergiamo o neghiamo nel dover essere come qualcuno ci vuole. Il camminare ci serve a ritrovare la vera libertà, che non è solo un andare senza meta precisa, ma il poter finalmente viverci per quello che siamo, nella semplicità del movimento spontaneo.
Il camminare è però anche l’incontro dell’altro, sia esso il nostro compagno di viaggio o chi ci capita lungo il percorso. Forti della nostra identità ritrovata, del nostro radicamento alla realtà, siamo veramente pronti a sperimentare l’empatia. La competitività che caratterizza la media delle relazioni della nostra esistenza “normale”, viene superata, perché prevale il senso di apertura, la necessità del confronto autentico. Non ci sono altri interessi in gioco se non la possibilità in un attimo di rispecchiarci nell’altro e scambiare la nostra umanità. Jeremy Rifkin sostiene che solo educandoci all’empatia potremo contrastare la negatività e distruttività che il razionalismo e il materialismo ci hanno instillato. Il cammino è empatico perché da sempre il viandante e il filosofo percorrono la stessa strada. E l’empatia sappiamo che è anche la via maestra che ci può sbilanciare verso la dimensione dell’amicizia e dell’amore. Il camminatore, consapevole della rivoluzione interiore ed esteriore che compie col suo semplice gesto, sa che può trasformare la sua vita aderendo all’etica del viandante. Che è uscire da mete o scopi precostituiti, spesso falsi e arbitrari, per entrare nella concretezza del vivere la vita per quello che è, cioè accettando i continui imprevisti che ogni viaggio porta con sé. E’ imparare l’elasticità e l’adattabilità, contro la rigidità del dover essere o adeguarsi a. Il cammino è uno dei simboli più chiari del cambiamento, e il cambiamento continuo è l’emblema della vita stessa.
Chi cammina accetta che è corpo. Nell’epoca dell’anoressia, in cui si vuole essere l’immagine desiderata, in cui l’ideale prevale sul reale, il camminare ci riporta coi piedi per terra. Perché camminando usiamo il corpo, lo sentiamo… ci fa male lo sforzo… ci danno piacere i sensi all’opera. La realtà vera esiste, e passo dopo passo ci alleniamo ad affrontarla, per quello che è. La pioggia è la pioggia, la salita è la salita, una vescica è una vescica… il sorriso o il malumore di un compagno di viaggio, quello sono, e non quello che mi aspetto e che mi deluderà sempre se non lo avrò.
E qual è l’ideale che caratterizza la nostra epoca, il cui emblema è… l’orologio? La fretta, la velocità, l’essere attivi, il farcela sempre e comunque nei tempi giusti. Anche i 1000 metri di dislivello vanno fatti nel tempo scritto sul segnavia o sulla guida cartacea o dettoci dalla guida di turno. E il piacere? Siamo una finta società del piacere… il piacere lo si vende e consuma… si è smarrita totalmente l’arte di viverlo. Solo negli ultimi anni sta emergendo di nuovo, ed era ora, la cultura del piacere. Cosa stiamo al mondo a fare? A lavorare e fare soldi? No, godiamoci i pochi e fuggevoli anni di questa vita, col gusto dello slow food, con le esperienze sensoriali dei centri benessere e delle terme… con il cammino lento, consapevole, solidale e, specialmente, creativo. Magari fermandoci e usando tutta la nostra leggerezza in una improvvisata opera di land art. Oppure, sdraiati su un prato e guardando le nuvole, inventare un gioco, come quando si era bambini, e la voglia di vivere davvero ce l’avevamo ancora.
Il camminare non è semplice solo nella sua meccanica. E’ che attraverso di esso ci riappropriamo della semplicità del vivere, delle sue cose essenziali. Il valore aggiunto che oggi possiede il viandante è la critica radicale, rivoluzionaria addirittura, attuata e non solo dichiarata, a quell’uomo economico che sta uccidendo se stesso e l’habitat che lo ospita. E’ il riscoprire la nostra selvaticità, la natura profonda di cui siamo fatti. La modesta pratica del passo dopo passo, si fa anche predica, si fa meditazione, si fa ponte verso la spiritualità. Che è oscurare la mente vigile, fare silenzio, fermarsi ed ascoltare la nostra interazione col grande Tutto, il nostro misterioso appartenervi. Qualcuno, forse esagerando, dice che nel cammino arriva a una forma di soddisfazione erotica. Io credo che non vadano confusi i piani, che l’erotismo sia ambito della modalità più elevata dell’esprimersi umano, che si chiama amore… è lì che riproduciamo noi stessi. Però c’è un’analogia. Come l’antica disciplina del Tantra ci conduce, attraverso il piacere dei sensi, alla scoperta dei livelli più elevati del trascendente, così il camminare, con meno raffinatezza ma con altrettanta ricerca, ci rieduca a trovare la giusta collocazione esistenziale della nostra umanità. Quella di essere elementi di congiunzione tra Terra e Cielo.
Camminoterapia allora? Io credo decisamente di sì. Sono talmente tanti i piccioni che prendiamo con una fava, che la parola non ci deve spaventare. Semplice e alla portata di tutti, gratuita, portatrice di benessere fisico e psicologico, socializzante, creativa, adatta alla filosofia ed alla religiosità spontanea, fonte infinita di curiosità, esperienziale ecc ecc Senza considerare che questa sana pratica diminuirebbe l’uso eccessivo di farmaci con svariati effetti collaterali e costi rilevanti per la comunità… in periodo di crisi economica non mi par poco. Servono dunque camminoterapeuti, che vuol dire avere il coraggio di proporre a tutti ciò che abbiamo imparato sulle nostre gambe in tanti anni di viaggi a piedi. Una vera specialità, direi in ambito preventivo e psicosomatico, è il camminare. E tutti noi, che riflettiamo su questi temi, potremo testimoniare la felicità che otteniamo dal nostro modo di andare.
Il camminare è allora la panacea universale? Ahimè no. La legge principe della psicologia è che…ognuno di noi è diverso dall’altro. Seri studi volti a scoprire qual è il fattore scientificamente dimostrabile che ci rende sani e felici (si sono indagati i grandi anziani che, per l’appunto, arrivano a morire senza alcuna malattia ed ancora contenti della vita che fanno), sostengono si tratti della curiosità. La curiosità è avere ancora voglia di stare al mondo per fare qualcosa che ci piace e ci interessa. Allora… non a tutti piace e interessa il camminare! C’è a chi piace ballare, a chi suonare, a chi stare al computer, a chi… far niente. Possiamo e dobbiamo spiegare a tutti quanti quali sono i benefici del camminare, che è una delle caratteristiche geneticamente strutturali dell’animale uomo, ma se a qualcuno non va… è inutile insistere, ha ragione lui. Non esiste un’unica strada per la nostra evoluzione. Anzi, è auspicabile che si sappiano percorrere strade diverse. Oltretutto non abbiamo neppure chiaro per arrivare a quale meta.
Alla fine, io cammino per il piacere di farlo. Da solo, con la mia compagna o col mio amico, o con uno dei meravigliosi gruppi di appassionati che hanno sposato questa splendida utopia.

Guido Ulula alla Luna (medico e psicoterapeuta)

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